Memorie di un celoviek bersagliere
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Versione adatta alla stampaAutore: Bruno Cecchini
Pagine: L + 204 (254)
Formato: cm 17x21,5
Collana: Kuritza
Anno: 2008
ISBN: 978-88-903147-1-1
Il libro contiene il memoriale che Bruno Cecchini (1921-1999), sottotenente nel 3° Reggimento Bersaglieri durante la campagna di Russia, scrisse vent’anni fa per ricordare i giorni del ripiegamento dalla linea del Don e gli anni della prigionia nel Campo sovietico n. 160 di Suzdal’.
La battaglia più sanguinosa del ripiegamento, ampiamente descritta da Cecchini, si combattè nel tentativo di conquistare il villaggio di Meskov: furono i bersaglieri del 3° Reggimento a muovere all’assalto sotto il fuoco dei mortai e dei cannoni nemici attraverso una spianata ricoperta di neve. I russi lasciano le posizioni e si ritirano in una piccola chiesa sconsacrata su un’altura vicina, che da quel momento diviene il fulcro della battaglia. La chiesa viene presa e perduta più volte, fintanto che in rinforzo dei sovietici sopraggiungono i carri armati. Nell’azione il 70% degli effettivi del reggimento è perduto. Le postazioni vengono mantenute sino all’alba del giorno successivo, quando i superstiti ripiegano verso Kalmikov, a dieci chilometri da Meskov, dove si rendono conto di essere rimasti del tutto isolati. Sono le prime ore del mattino del 21 gennaio 1943 e quel che resta del 3° Reggimento viene completamente accerchiato dal nemico che incombe dalle alture circostanti: attaccato dai mortai, dai carri armati e dalla fanteria russa, è sommerso e distrutto in pochi e brevi scontri. I pochi superstiti vengono catturati e incolonnati; poche ore più tardi inizia la marcia di trasferimento verso i lager di Stalin.
Il Campo 160 di Suzdal’, dove fu internato Cecchini, a 300 chilometri a nordest di Mosca, era destinato agli ufficiali di tutte le nazionalità (compresi i cappellani militari come la medaglia d’oro don Enelio Franzoni). Il libro descrive la vita dei prigionieri nel campo, segnata da fame, freddo e malattie non curate. La sua particolarità sta però nella minuzia con cui l’autore ricorda la fitta azione dei propagandisti politici sovietici e italiani per convincere i prigionieri ad aderire al comunismo. A tale scopo tennero interrogatori con richieste di sottoscrizioni di appelli al popolo italiano, conferenze e attività culturali con discussioni pubbliche. Cecchini fu tra gli irriducibili oppositori del sistema del lavaggio del cervello, scegliendo di mantenere fede al giuramento militare prestato e addirittura rinforzandolo con un ulteriore patto di fedeltà alla patria all’interno di un ristretto gruppo di prigionieri; perciò fu tra coloro contro cui le autorità sovietiche si accanirono in modo particolare, al punto da inserirlo in un elenco di cinquanta ufficiali che durante il viaggio di rimpatrio, nell’estate 1946, furono ulteriormente trattenuti in una località romena affinchè non ritornassero in Italia assieme agli altri colleghi.
La propaganda nei campi sovietici non si limitò a combattere il regime fascista ma si scagliò ferocemente contro l’intero sistema occidentale, ovvero contro la borghesia, la democrazia, il capitalismo e la religione, al fine di persuadere i prigionieri che solo il comunismo, una volta esportato dall’URSS nel resto d’Europa, avrebbe garantito a tutti la libertà, l’uguaglianza e il benessere materiale e spirituale. Le autorità sovietiche, spalleggiate dai militanti italiani, intendevano preparare una largo gruppo di prigionieri che dopo il rimpatrio si dimostrassero aperti alla politica dell’URSS e alle sue richieste di fare attività spionistica. Di conseguenza risulta (questa è l’opinione di Ferioli) che i militari italiani che resistettero alle pressioni dei propagandisti si resero interpreti di una vera e propria resistenza senz’armi, ispirata dalla fedeltà al giuramento militare e dal patriottismo.
L’apporto del memoriale di Cecchini, che di quella resistenza fu uno degli animatori, contribuisce oggi a una migliore conoscenza di quei fatti storici troppo spesso affogati nel silenzio o lasciati alle strumentalizzazioni politiche di parte.
L’edizione del memoriale è curata da Alessandro Ferioli, che è anche l’autore dell’ampia e documentata introduzione storiografica che apre il volume.
Dove reperire le nostre pubblicazioni
INDICE
• Un testimone della resistenza dei prigionieri italiani in Russia
di Alessandro Ferioli
• La mia storia
• L’inverno 1942 nell’impero dei Soviet: accerchiati dall’Armata Rossa
• 17 dicembre: i russi all’attacco delle nostre retrovie
• 20 dicembre: l’assalto alle linee nemiche a Meskov e la ritirata su Konovalov-Kalmikov
• Prigioniero dell’Armata Rossa
• Campo 160, Suzdal’: fame atroce e propaganda asfissiante
• Di che nobile carta le carte proletarie: due articoli per L’Alba
• I celoviek boscaioli e gli uomini-cavalli
• Il primo colloquio interrelazionario con la nomenklatura e l’appello per Trieste alla Iugoslavia
• La vita al Campo 160: che fisico, il fisico degli scampati, e che fame la fame!
• Operazione Cornacchie
• L’associazione segreta e il giuramento dei disperati
• Rimpatriano i soldati italiani scampati al massacro; restano i 570 ufficiali
• Suzdal’ addio
• A Odessa
• Sighet Maramaros e l’ultima vigliaccata dei comunisti russi e nostrani
• “Signori ufficiali…”
• 19 luglio 1946: fine di un incubo
• Note
• Indice
STAMPA
• Campagna di Russia: memorie di un «celoviek» bersagliere
• recensione su Fiamma Cremisi
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Pagine: L + 204 (254)
Formato: cm 17x21,5
Collana: Kuritza
Anno: 2008
ISBN: 978-88-903147-1-1
Il libro contiene il memoriale che Bruno Cecchini (1921-1999), sottotenente nel 3° Reggimento Bersaglieri durante la campagna di Russia, scrisse vent’anni fa per ricordare i giorni del ripiegamento dalla linea del Don e gli anni della prigionia nel Campo sovietico n. 160 di Suzdal’.
La battaglia più sanguinosa del ripiegamento, ampiamente descritta da Cecchini, si combattè nel tentativo di conquistare il villaggio di Meskov: furono i bersaglieri del 3° Reggimento a muovere all’assalto sotto il fuoco dei mortai e dei cannoni nemici attraverso una spianata ricoperta di neve. I russi lasciano le posizioni e si ritirano in una piccola chiesa sconsacrata su un’altura vicina, che da quel momento diviene il fulcro della battaglia. La chiesa viene presa e perduta più volte, fintanto che in rinforzo dei sovietici sopraggiungono i carri armati. Nell’azione il 70% degli effettivi del reggimento è perduto. Le postazioni vengono mantenute sino all’alba del giorno successivo, quando i superstiti ripiegano verso Kalmikov, a dieci chilometri da Meskov, dove si rendono conto di essere rimasti del tutto isolati. Sono le prime ore del mattino del 21 gennaio 1943 e quel che resta del 3° Reggimento viene completamente accerchiato dal nemico che incombe dalle alture circostanti: attaccato dai mortai, dai carri armati e dalla fanteria russa, è sommerso e distrutto in pochi e brevi scontri. I pochi superstiti vengono catturati e incolonnati; poche ore più tardi inizia la marcia di trasferimento verso i lager di Stalin.
Il Campo 160 di Suzdal’, dove fu internato Cecchini, a 300 chilometri a nordest di Mosca, era destinato agli ufficiali di tutte le nazionalità (compresi i cappellani militari come la medaglia d’oro don Enelio Franzoni). Il libro descrive la vita dei prigionieri nel campo, segnata da fame, freddo e malattie non curate. La sua particolarità sta però nella minuzia con cui l’autore ricorda la fitta azione dei propagandisti politici sovietici e italiani per convincere i prigionieri ad aderire al comunismo. A tale scopo tennero interrogatori con richieste di sottoscrizioni di appelli al popolo italiano, conferenze e attività culturali con discussioni pubbliche. Cecchini fu tra gli irriducibili oppositori del sistema del lavaggio del cervello, scegliendo di mantenere fede al giuramento militare prestato e addirittura rinforzandolo con un ulteriore patto di fedeltà alla patria all’interno di un ristretto gruppo di prigionieri; perciò fu tra coloro contro cui le autorità sovietiche si accanirono in modo particolare, al punto da inserirlo in un elenco di cinquanta ufficiali che durante il viaggio di rimpatrio, nell’estate 1946, furono ulteriormente trattenuti in una località romena affinchè non ritornassero in Italia assieme agli altri colleghi.
La propaganda nei campi sovietici non si limitò a combattere il regime fascista ma si scagliò ferocemente contro l’intero sistema occidentale, ovvero contro la borghesia, la democrazia, il capitalismo e la religione, al fine di persuadere i prigionieri che solo il comunismo, una volta esportato dall’URSS nel resto d’Europa, avrebbe garantito a tutti la libertà, l’uguaglianza e il benessere materiale e spirituale. Le autorità sovietiche, spalleggiate dai militanti italiani, intendevano preparare una largo gruppo di prigionieri che dopo il rimpatrio si dimostrassero aperti alla politica dell’URSS e alle sue richieste di fare attività spionistica. Di conseguenza risulta (questa è l’opinione di Ferioli) che i militari italiani che resistettero alle pressioni dei propagandisti si resero interpreti di una vera e propria resistenza senz’armi, ispirata dalla fedeltà al giuramento militare e dal patriottismo.
L’apporto del memoriale di Cecchini, che di quella resistenza fu uno degli animatori, contribuisce oggi a una migliore conoscenza di quei fatti storici troppo spesso affogati nel silenzio o lasciati alle strumentalizzazioni politiche di parte.
L’edizione del memoriale è curata da Alessandro Ferioli, che è anche l’autore dell’ampia e documentata introduzione storiografica che apre il volume.
Dove reperire le nostre pubblicazioni
INDICE
• Un testimone della resistenza dei prigionieri italiani in Russia
di Alessandro Ferioli
• La mia storia
• L’inverno 1942 nell’impero dei Soviet: accerchiati dall’Armata Rossa
• 17 dicembre: i russi all’attacco delle nostre retrovie
• 20 dicembre: l’assalto alle linee nemiche a Meskov e la ritirata su Konovalov-Kalmikov
• Prigioniero dell’Armata Rossa
• Campo 160, Suzdal’: fame atroce e propaganda asfissiante
• Di che nobile carta le carte proletarie: due articoli per L’Alba
• I celoviek boscaioli e gli uomini-cavalli
• Il primo colloquio interrelazionario con la nomenklatura e l’appello per Trieste alla Iugoslavia
• La vita al Campo 160: che fisico, il fisico degli scampati, e che fame la fame!
• Operazione Cornacchie
• L’associazione segreta e il giuramento dei disperati
• Rimpatriano i soldati italiani scampati al massacro; restano i 570 ufficiali
• Suzdal’ addio
• A Odessa
• Sighet Maramaros e l’ultima vigliaccata dei comunisti russi e nostrani
• “Signori ufficiali…”
• 19 luglio 1946: fine di un incubo
• Note
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