Le memorie di un giovane timido e di un prigioniero recidivo

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coperinacoperinaInizio dell'anno accademico a Roma • I diari del soldato Alberto Gorni e del col. Augusto Gragnani curati da Ferioli, emersi dopo oltre 60 anni di oblio. Due modi di vivere l'internamento: con spirito religioso e con scetticismo, nostalgia e tristezza
Tratto da Noi dei lager novembre-dicembre 2010

Il 4 ottobre alla Casa della Memoria e della Storia in Roma sono stati presentati due volumi di memorie dai Lager curati dal prof. Alessandro Ferioli, pubblicati dalla Casa editrice Il Mascellaro di Bologna. I diari scritti in Lager su mezzi di fortuna dal soldato Alberto Gorni e dal colonnello Augusto Garagnani. Il segretario generale dell'ANEI Stefano Caccialupi ha rivolto il suo saluto ai presenti ed ha illustrato nelle linee generali l'attività dell'associazione, nell'ambito della sezione romana, dando inizio all'anno accademico 2010-2011. Egli ha espresso l'augurio di una proficua stagione di contatti tra gli ex IMI e il pubblico al fine di mantenere vivo il ricordo dei Seicentomila.

Anna Maria Casavola ha dato inizio ai lavori della serata, dicendosi molto lieta di presentare un giovane studioso ma già consumato ricercatore, Alessandro Ferioli che da anni collabora con l'ANEI e che è altamente apprezzato attraverso i suoi scritti, articoli e saggi, in gran parte sul fronte della Resistenza e degli internati militari italiani. Ferioli coltiva la ricerca storica a latere della sua professione di insegnante. A questo proposito la Casavola si è detta fermamente convinta dell'utilità sociale e del valore formativo della storia, la sola disciplina che, se correttamente coltivata e insegnata, possa far nascere delle riflessioni, seminare dei dubbi, far ricavare dei valori.

TESTIMONI DI VERITÀ
A ragione il nostro maggior scrittore Alessandro Manzoni diceva che niente può educare meglio del vero storico e niente può essere più interessante perché la realtà ha più immaginazione della fantasia. Naturalmente tutto ciò a condizione che lo storico sia uno storico che si rispetti, sia cioè un testimone della verità, non un intellettuale organico a qualche partito.

La storia - ella ha detto - è spesso una maestra inascoltata perché non la si conosce, di conseguenza non la si ama. Bisognerebbe farla amare, andare oltre il nozionismo freddo per vedervi agire persone in carne e ossa con le loro passioni, i loro sentimenti, le loro fragilità, i loro ideali e anche le loro ombre. Soprattutto la storia per essere educativa deve essere letta in tutte le sue pagine quelle che ci piacciono e quelle che non ci piacciono, quelle gradite e quelle che pensiamo non gradite al potere politico dominante. Ed è quello che fa Alessandro Ferioli come ricercatore e in particolare con questi due libri di memorie di cui egli ha curato la pubblicazione, il commento testuale, la collocazione storica con una prosa lucida, colta, articolata, ricca di riferimenti bibbliografici ma nello stesso tempo comunicativa e accattivante.

Si tratta di due diari, scritti direttamente in prigionia, e quindi di importante valenza storica, perché coevi ai fatti che raccontano, che portano in primo piano due militari anonimi, due protagonisti sconosciuti, un soldatino originario del mantovano di famiglia di piccoli agricoltori, Alberto Gorni e un colonnello veterinario già reduce della prima guerra mondiale Augusto Garagnani.

Ad Alberto che è un buon giovane molto cattolico, in definitiva la prigionia non va molto male per un concorso provvidenziale di circostanze - è avviato ai lavori agricoli e si risparmia quelli più duri in miniera - ma soprattutto per il suo carattere mite, cordiale sempre disponibile che lo aiuta a stabilire contatti con persone e famiglie fuori dal Lager, dalle quali è aiutato e benvoluto. Le sue pratiche devozionali le sue competenze musicali - sa sonare l'organo - lo portano a godere di qualche margine di libertà in più rispetto ai suoi compagni. Ma in lui il sentimento religioso è autentico, non un appiglio saltuario cui appoggiarsi nei momenti di bisogno, ma una guida costante nelle grandi e nelle piccole cose. A commento di ciò la Casavola ha detto: "Mi ha colpito leggendo questo diario scritto in Lager, in quelle condizioni disumane che credo tutti conosciamo, la sua preoccupazione di buon cattolico per la cattiva abitudine di suo padre di bestemmiare. Sentiamo cosa scriveva già in precedenza alla famiglia dal fronte di guerra in Albania, dove si trovava nel 1942 :"Papà pensa al tuo figliolo lontano che tanto ti ama, non bestemmiare più, domando questa grazia" (lettera 1 agosto 1942) e ancora "E il papa come se la passa? bestemmia ancora? Io prego incessantemente per lui, affinchè abbia a diventare un buon cristiano e abbia il dono della fede" (lettera 12 Ottobre 1942). Che dire? Sotto il fastidio e l'imbarazzo della barzelletta blasfema al centro della cronaca dei giorni scorsi, mi permetto di consigliare a politici e monsignori la lettura edificante di queste righe di un buon giovane che voleva essere per sé e per gli altri un buon cattolico. "

IL LAGER VAL BENE UNA MESSA
Questo diario cosi permeato di spirito religioso permette di fare qualche considerazione sulle pratiche religiose tra i prigionieri che, quando non scadevano a livelli di superstizione, erano molto sentite e diffuse. A Wietzendorf, in una camerata adibita a cappella, venne costruito un grande altare centrale in blocchetti di cemento, rivestite poi con tavole di legno. Quasi tutti gli arredi sacri, liturgici vennero costruiti con pezzi di legno e latta di scatolame: così i candelieri, il turibolo, l'incensiere, l'ostensorio. Il filo spinato servi a costruire un grande lampadario centrale e due piccoli a muro ai lati dell'altare maggiore.

In quel Lager fu costruito da Tullio Battaglia anche uno straordinario presepe con il più inverosimile materiale di accatto che ancora oggi strappa l'ammirazione ed è conservato nella chiesa di Sant'Ambrogio a Milano. Questo presepe è anche ricordato nel diario di Gargagnani.

Gli stessi tedeschi, pur giudicando negativamente la devozione degli italiani, non avevano potuto negare che, pur con alcune limitazioni, la domenica e nelle feste si celebrasse la messa, data anche la numerosa presenza nei campi di cappellani militari cattolici, anche loro prigionieri ma prigionieri volontari. E anche a loro sappiamo non fu risparmiata la propaganda fascista, cosi don Luigi Pasa ricorda il suo ingresso a Sandbostel: «Un italiano che girava tra le autorità tedesche mi si avvicina e mi conduce in disparte. "Voi che siete intelligente non vorrete tradire la patria... Venite a parlare con i soldati affinchè collaborino con i tedeschi e sarete lasciato libero di tornare in Italia". "Io sono il cappellano militare, il mio compito è l'assistenza spirituale non la politica (...) In Italia ero liberissimo di rimanere. Se sono qui, è perché partii volontario con l'unico intento di non separarmi da questi miei avieri per i quali vivo". "Siete un traditore" mi grida violento e con una spinta mi manda a sbattere contro i reticolati".

Sempre a proposito di questo argomento, ci dice Vittorio Emanuele Giumella che chi è tornato dal Lager è tornato diverso da quello che era partito. E aggiunge: "Mai come in quella circostanza sono stati capiti e intesi con l'evidenza quasi di una rivelazione quei testi evangelici che ammoniscono a non servire due padroni, ma a obbedire piuttosto a Dio che agli uomini... a non essere troppo ansiosi del cibo e del vestiario ma a cercare in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia". Insomma il Lager divenne per tutti credenti e non credenti il tempo in cui si posero drammaticamente gli interrogativi esistenziali sul senso della vita, per alcuni il luogo della ricerca di Dio, e per molti il luogo dove forse per la prima volta lo si invocava per conforto e per speranza.

Per il colonnello Augusto Garagnani di famiglia borghese e bolognese, colto e già maturo di anni, la prigionia, con la sua peregrinazione in tanti campi diversi della Polonia e della Germania, (Deblin Irena, Czestochova, Langwasser, GrossHesepe) diventa un osservatorio impietoso delle debolezze, meschinità e cattiverie degli uomini sia da parte tedesca che italiana tanto da confessare a se stesso di aver perso la capacità di ridere.

IRONIA SU DEBOLEZZE E MESCHINITÀ
Lo stillicidio delle morti quotidiane dei colleghi, che egli meticolosamente annota nel diario insieme con la grottesca cerimonia organizzata dai tedeschi delle onoranze funebri - gli spari a salve -, le condizioni igieniche spaventose, che non permettono la sopravvivenza, la fame sempre in agguato, il sovraffollamento, la sofferenza per la mancanza di notizie dei propri cari, tutto ciò gli provoca nel morale delle ferite profonde che non si rimarginano. Leggiamo questa pagina dal suo diario "Se i nostri cari vedessero quello che mangiamo! È da un po' di tempo che nelle cosiddette minestre ci mettono dei funghi avariati o, per spiegarsi chiaramente, pieni di vermi; finché ne mettevano pochi i vermi erano relativamente pochi, ma ieri che si è voluto, appunto per evitare l'inconveniente ripetuto, fare un'unica minestra di funghi, ne è risultato un vero strato di vermi affioranti sulla marmitta: molti brontolii, molte invettive, ma la grandissima maggioranza ha mangiato lo stesso, io compreso: segno dei tempi, vulgo appetito! Del resto che ci danno generi avariati non è la prima volta, anzi!
Stamattina ci sono ancora state promesse fucilate se usciamo di baracca durante gli allarmi aerei. Non sono mai stato molto allegro durante questo periodo di prigionia, ma più del solito in questi ultimi tempi mi sento impastato di irritazione e di tristezza; vedo il mio passato, i luoghi e le persone care, varie circostanze della mia vita, in minuti e limpidi particolari, come si dice che siano le visioni ultime dei morituri; mi sembrano quadri, persone e cose già al di fuori della mia persona. Penso sia un effetto della lontananza, della nostalgia e della debolezza fisica, ma a volte mi offrono tutta l'angoscia di un presentimento; angoscia non per me ma per quelle due poverette che mi aspettano. Non so più ridere; ieri, mentre mi facevo la barba, ho provato davanti allo specchio e ne è uscita una smorfia da farmi pietà. Credo che molto dipenda anche da questa vita collettiva, penosissima per me che ho sempre odiato le folle e le collettività anche quando erano gioconde. Ma cerchiamo di resistere nella minima anormalità". (Memorie 15 ottobre 1944).

Anche nel giorno della liberazione del campo di Gross Hesepe, quando i reparti canadesi stavano scacciando i tedeschi a pochi metri dai reticolati, non riesce a provare una gioia autentica, anzi egli si scopre sempre più incline al pianto. Evidentemente il Lager dovette accentuare la sua tristezza caratteriale e che probabilmente non fu mai superata.

MEMORIE EMERSE DAI CASSETTI
Entrambi gli estensori di questi diari, una volta rimpatriati li chiuderanno nel classico cassetto e lì lo dimenticheranno, in fondo l'avevano scritto per mantenere un contatto con le loro famiglie, non per altre ambizioni, ma dopo molti anni dalla loro morte saranno amorosamente i familiari a ricercarli e a farli conoscere per ricordarne la memoria.

Bello e commovente sentimento - annota Alessandro Ferioli - affinchè, come leggevamo a scuola in Erodoto, "le imprese degli uomini col tempo non siano dimenticate, né le gesta grandi e meravigliose [... ] rimangano senza gloria".

Ma questa attenzione da parte delle famiglie e delle autorità civili non la ebbero invece i reduci al loro rimpatrio, essi non furono compresi nel loro sacrificio, e apparvero dice Enrico Deaglio come "animali strani" a confronto dei partigiani vittoriosi, perché avevano preferito 20 mesi di lager pur di restare fedeli a un giuramento, un giuramento prestato a un re che era ingloriosamente fuggito. A loro capitò quello che dice Primo Levi fosse il sogno che li aveva tormentati nei Lager, quello di tornare, voler raccontar ma non essere ascoltati. Elsa Morante così descrive cosa capitava agli ebrei ritornati: "Presto essi impararono che nessuno voleva ascoltare i loro racconti, c'era chi se ne distraeva fin dal principio e chi li interrompeva ridacchiando, quasi a dirgli: "Fratello, ti compatisco, ma in questo momento ho altro da fare"". Perché i racconti degli ebrei, come anche quelli degli IMI, non somigliavano a quelli avventurosi dei capitani di mare e di Ulisse, l'eroe di ritorno alla sua reggia, erano racconti che mettevano tristezza e la "gente voleva rimuoverli dalla propria giornata come dalle famiglie normali si rimuove la presenza dei pazzi o dei morti".

E avendo capito questo gli internati, quasi vergognandosi di aver sperato ben altro trattamento se non la riconoscenza dei loro connazionali, si chiusero pudicamente in se stessi, in un ostinato silenzio, un silenzio che solo oggi gli storici cercano di rompere.

DAL DIARIO DEL COLONNELLO GARAGNANI INFORMAZIONI PREZIOSE
Nella seconda parte il prof. Mariano Gabriele, docente emerito dell'Università della Sapienza, cattedra di Storia contemporaneo e Storia politica navale alla facoltà di Scienze politiche, ha ripreso l'analisi dei due diari, allargando anche moltissimo il discorso alla storia dell'internamento e alla letteratura concentrazionaria prodotta in questi anni senza tralasciare quella ebraica. In particolare del diario di Alberto Gorni ha letto alcuni brani che hanno completato il profilo già disegnato dalla Casavola di un giovane dotato di una naturale bontà che lo porta a cogliere tratti di gentilezza anche nei carcerieri e a far passare in secondo piano gli aspetti negativi dei lavori forzati, soprattutto lo porta a provvidenziali incontri con persone, famiglie, donne tedesche che lo aiutano, lo sfamano, lo soccorrono nelle sue necessità. Naturalmente di questi aiuti cercherà sempre di farne parte ai compagni. La sua religiosità autentica non occasionale lo spinge anche ad osservare sempre, come può, le pratiche del culto, la Messa, la domenica, la recita del rosario nella baracca la sera, e forse anche la scrittura quotidiana del diario, visto come uno strumento dello spirito per mantenere saldo il suo colloquio con Dio.

Del diario del col. Garagnani, che è un po' l'opposto di Gorni in quanto si tratta di un colto, borghese e laico, il prof. Mariano Gabriele sottolinea il suo spirito equilibrato che lo porta a condannare le stragi e le crudeltà commesse dai militari tedeschi, che man mano constata o viene a conoscere, ma non a odiare la popolazione, di cui riconosce la forza nel resistere e il loro patriottismo, tuttavia non può fare a meno di fare questa considerazione: "Qualcosa di non indifferente, di molto grave manca ai tedeschi, alla civiltà tedesca perché tutto il mondo li odia e parte li disprezza nonostante molte loro qualità positive. E` un qualcosa per cui a meno di trent'anni di distanza hanno ricevuto due formidabili sconfitte in guerra dopo una lunga serie di battaglie vinte. " A differenza di Gorni il colonnello veterinario si sofferma su tutte le durezze della prigionia e ci fa conoscere in particolare il trattamento cui erano sottoposti gli ufficiali anche superiori. In un campo in Polonia 14 generali, due di CA furono costretti ad aggiogarsi ad un carro per trascinare i loro bagagli. E Garagnani commenta: "A noi ufficiali superiori ne hanno fatto fare di tutti i colori ma non eravamo stati promossi al rango di cavallo e di mulo". Per quanto riguarda la possibilità dell'opzione loro offerta dai fascisti di Salò, il colonnello così motiva il rifiuto della gran massa: "Su molte migliaia poche decine hanno aderito e anche per motivi non puri. Credo che molti di noi siano scossi nella loro fede monarchica (e non può essere altrimenti anche se non siamo al corrente di tutto) ma sentono tutti un grande avvilimento per le condizioni nelle quali siamo stati messi e tenuti ed una grande ripugnanza per una eventuale lotta fratricida". Infatti non sfuggiva loro che, tornando in Italia nell'esercito fascista, sarebbero stati impiegati in azioni contro i partigiani, cioè contro loro connazionali, in una guerra civile.

IL VALORE SACRO DEL GIURAMENTO FONDAMENTO DEL SENTIMENTO DELL'ONORE
Per quanto riguarda la fedeltà al re motivata con la fedeltà al giuramento prestato, il prof. Gabriele ha citato l'episodio del giuramento in Lager degli allievi ufficiali della Scuola militare di Torino.

Nella dissoluzione di tutti i valori, nel tradimento vergognoso, quel giuramento rappresenta l'unica possibilità loro rimasta per dire a se stessi: "sono libero, sono ancora un uomo, sono italiano". Ad essa si aggrappano con tutte le loro forze tanto da rischiare la vita per pronunciarlo clandestinamente nel Lager. Così fanno i duecentoquarantaquattro sottotenenti che erano stati fatti prigionieri, appena usciti dall'Accademia militare di Torino senza aver potuto giurare, e giurano a Przemjsl l'11 novembre 1943 in una cerimonia clandestina, sulla bandiera della nave Dezza miracolosamente salvata ed esposta per l'occasione in quel giorno in cui ricorreva il genetliaco del re. Questo costerà al loro comandante il col. Luigi De Micheli, scoperto e processato, mesi e mesi di carcere duro, come per gli attentatori di Hitler. Scamperà alla morte solo per il crollo della Germania.

A proposito del giuramento il prof. Ferioli, in conclusione di serata, dopo aver calorosamente ringraziato i relatori per la ricchezza delle osservazioni che dimostrano una lettura attenta dei libri loro affidati - cosa che non sempre si verifica nelle presentazioni - chiede di poter esprimere le riflessioni che ha maturato nel corso degli anni dedicati allo studio del fenomeno internamento.

A suo avviso il NO degli internati non è stato ancora veramente capito e valorizzato dalla storiografia ufficiale mentre quella revisionista di matrice filofascista tende continuamente a sminuirlo o a non tenerne conto, giocando anche molto sui numeri, per cui i non optanti non sarebbero una massa, come sempre si è detto. Anche se ricerche più approfondite e recenti hanno aumentato a centomila il numero degli optanti, la percentuale resta minima sulla massa di seicento-settecentomila uomini. Quello che voleva la Rsi, al di là della formazione delle quatto divisioni - Littorio, Italia, Monterosa, San Marco - era la sua legittimazione, una specie di plebiscito da ottenersi sui campi da parte dei militari italiani prigionieri. Nessuna legittimazione internazionale aveva avuto infatti la Rsi, fatta eccezione per gli Stati satelliti della Germania, neppure dalla Spagna nonostante l'aiuto determinante dato da Mussolini al tempo della guerra contro la repubblica spagnola, neppure dallo Stato del Vaticano. Sarebbe stato quindi necessaria una sorta di investitura dal basso da parte dell'esercito ma questa non l'ha avuta, perché l'esercito non era fascistizzato come la milizia, nell'esercito era forte la tradizione monarchica che vedeva nel sovrano non la persona ma l'istituzione, cioè lo Stato, la Patria. Inoltre dalla guerra era nato un sentimento di antifascismo anche se - come è stato detto - di carattere morale, prepolitico. In più era forte il senso dell'onore. Il giuramento era considerato una cosa sacra e non poteva Mussolini scioglierlo a suo piacimento, come aveva tentato di fare nel suo discorso alla radio il 18 settembre 1943, dopo la sua liberazione dal Gran Sasso. Oggi certo non riusciamo a rendercene conto ma per capire questo dobbiamo andare a leggere l'articolo 2 del Regolamento di disciplina approvato da Carlo Alberto il 18 agosto 1840 che recita: "Ogni militare giura fedeltà al Sovrano e chi manca a questo giuramento od a qualsiasi delle varie sue condizioni, si rende spergiuro, ed in conseguenza rimane colpito di infamia. Lo spergiuro è sempre abominato da tutti, la vita suole essere misera ed il fine peggiore". Claudio Pavone nel suo Saggio Una guerra civile ricorda un ufficiale italiano fucilato dai Tedeschi in Grecia che lasciò scritto: "Sono sempre stato fedele ai giuramenti fatti e per il giuramento al re d'Italia do la mia vita".

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Due parole sulla casa editrice "Il Mascellaro" editrice non profit di un associazine culturale che si propone di stampare testi, che veicolino dei valori in questo nostro tempo e in questa società italiana così vuota nella mente e nel cuore.

AMC