Campagna di Russia: memorie di un «celoviek» bersagliere

Versione adatta alla stampaVersione adatta alla stampacoperinadi Chiara Unguendoli

Tratto da Avvenire - Bologna 7 di domenica 2 marzo 2008

«Memorie di un celoviek bersagliere. La prigionia in Russia di un ufficiale del 3° Reggimento: 1942-1946» è il titolo di un libro curato da Alessandro Ferioli e edito dall’associazione culturale «Il Mascellaro» (pp. 254, euro 15, può essere richiesto per email oppure tramite il sito www.mascellaro.info ).

Si tratta del racconto, appassionante perché scritto dallo stesso protagonista, dell’esperienza vissuta dal sottotenente dei Bersaglieri Bruno Cecchini (che chiama se stesso appunto «celoviek», cioè in russo «persona, uomo») durante la campagna di Russia: prima il ripiegamento dalla linea del Don del 3° reggimento dei Bersaglieri, che venne in quell’occasione quasi completamente distrutto, poi i lunghi anni della prigionia nel Campo sovietico n. 160 di Suzdal’. Un campo riservato agli ufficiali, dove i prigionieri vivevano affamati, esposti al freddo e alle malattie ma soprattutto sottoposti ad una pressante azione da parte dei propagandisti politici sovietici e italiani per convincerli ad aderire al comunismo.

«Cecchini - spiega Ferioli - fu tra gli irriducibili oppositori del sistema del lavaggio del cervello, scegliendo di mantenere fede al giuramento militare prestato e addirittura rinforzandolo con un ulteriore patto di fedeltà alla patria all’interno di un ristretto gruppo di prigionieri; perciò fu tra coloro contro cui le autorità sovietiche si accanirono in modo particolare, al punto da inserirlo in un elenco di cinquanta ufficiali che durante il viaggio di rimpatrio, nell’estate 1946, furono ulteriormente trattenuti per qualche settimana in una località romena affinché non ritornassero in Italia assieme agli altri».

«La propaganda rivolta ai prigionieri in Russia - prosegue Ferioli - si scagliava ferocemente contro l’intero sistema occidentale, compresa la religione. I sovietici intendevano preparare i prigionieri a un atteggiamento di favore verso i partiti comunisti europei e verso il governo sovietico. Perciò i militari italiani che resistettero alle pressioni si resero protagonisti di una vera e propria resistenza senz’armi. Una vicenda dimenticata, che invece è importante riscoprire».